Il Giullare triste

Sorridere non presuppone necessariamente l’allegria. È un taglio sulla bocca che bisognerebbe evitare di ricucire perché unico espediente per dare agli eventi, dalle tragedie all’avverarsi dei sogni, una valutazione distaccata, in qualche modo “seria”. Sorridere, consapevoli del proprio ridere, ci fa partecipi di gioie e dolori altrui proprio perché, ridendo, condividiamo. Esasperando i difetti e minimizzando i pregi degli altri non facciamo altro che curare i nostri.
Il riso è la debolezza, la corruzione, l’insipidità della nostra carne, inveiva invece il Venerabile Jorge da Burgos. Personalmente, reputo che ii vecchio monaco cieco fosse un talebano, meno ondivago del quasi omonimo Jorge Luis Borges di cui Eco propone la caricatura oltre che nel pensiero, nel nome e nella cecità, tuttavia integralista al pari del suo pròdromo medioevale inventato.
Ridere non è una scintille luciferina, come, al contrario, asseriva senza appello Jorge, è la volontà di liberarsi da vincoli inaccettabili semplicemente burlandosene. Il riso distoglie, per alcuni istanti, il villano dalla paura, sentenzia il Venerabile, e ciò, a buon motivo, lo spaventa. Chi ride non ha paura, ha paura chi non riesce a ridere perché la sua sottomissione alla vita da altri pianificata, che tante false certezze concede, sarebbe messa in pericolo.
Questa premessa potrebbe considerarsi del tutto superflua visto che IL GIULLARE TRISTE affronta l’argomento da tutt’altra angolatazione, infatti il nodo centrale è di meccanica muscolare, ovvero di consumo di energia. A mantenere il ghigno severo del Venerabile Jorge concorrono settantadue muscoli mentre per sorridere ne bastano dodici. Anche fosse solamente per una questione di risparmio opterei per il sorriso.