In questa raccolta di racconti non esiste un filo conduttore, una traccia, una sia pur esile indicazione che possa suggerire un senso generale e definitivo dell’opera. Non c’è nemmeno una cornice che trasmetta almeno una vaga impressione di unità al gran collage che il lettore si trova davanti; sembra piuttosto il lavoro di un facchino che abbia accatastato in un sol luogo il contenuto di due o tre soffitte da sgombrare. E pensando a un facchino, viene in mente l’umiltà. Perché c’è umiltà, in questa passione giocosa per le parole e per l’assurdo, assieme a un’inattuale convinzione che la libertà si possa effettivamente costruire, magari solo nel mondo della parola, magari proprio attraverso lo “sgangheramento” delle più pigre convenzioni letterarie.